martedì 20 novembre 2012

Gaza - Il pugno sulle formiche

Dopo un'anno e mezzo di chiusura a riccio dovuta alla lunga stagione d'incertezza regionale, lo stato israeliano ha finalmente ripreso l'iniziativa, anche purtroppo lo fa ancora una volta con un uso spropositato della violenza. E se la prende di nuovo con Gaza, che a sei giorni dall'inizio dell'operazione Colonna di Nuvole (nome poetico per descrivere quello che è in sostanza un fitto bombardamento) ha registrato un centinaio di vittime e almeno settecento feriti. Inoltre lo schieramento di migliaia di truppe israeliane al confine con la Striscia lascia presagire addirittura un'imminente campagna via terra.

Tutto è cominciato lo scorso 14 novembre, una puntualità non del tutto casuale essendo avvenuto praticamente una settimana dopo le presidenziali americane, quando un razzo israeliano ha centrato in pieno l'auto su cui viaggiava Ahmad al-Jabari, uno dei capi militari di Hamas considerato anche il responsabile di parecchi lanci di razzi su Israele. Dopodiché la situazione è rapidamente degenerata con entrambe le parti impegnate a bombardarsi a vicenda. Persino Tel Aviv ha avuto i suoi cinque minuti di terrore quando dei missili di fabbricazione iraniana (Fajr-5) hanno puntato i cieli della capitale israeliana, andando però a schiantarsi a mare senza causare alcun danno. Ma la spettacolarità dell'evento, che non si ripeteva da più di vent'anni, non deve comunque ingannare sull'enorme disparità delle forze in campo.
La nuova guerra tra Hamas e Israele vede come al solito opporre una popolazione che l'estrema povertà in cui versa (della quale Israele e la comunità internazionale hanno pesanti responsabilità) ha reso sempre più ostile e fanatica contro uno dei migliori eserciti del mondo dotato anche di un efficientissimo sistema anti-missilistico conosciuto come Iron Dome. E per lo stesso motivo come lo fu anche per Piombo Fuso nel 2008, questa lotta rischia di portare all'ennesimo tragicamente sanguinoso nulla di fatto.
A meno di non spazzare completamente tutto ciò che si trova sulla Striscia, come ha suggerito in un attimo d'intensa umanità Gilad Sharon, figlio di quell'Ariel Sharon che ordinò il ritiro delle truppe israeliane da Gaza nel 2005, Hamas molto probabilmente ne uscirà indebolita ma non abbastanza per non riprendersi e serbare assieme alla popolazione martoriata un rancore più grande che mai.
Si tratta di una feroce rappresaglia senza scopo? Oppure di una mera mossa elettorale per stendere il tappeto rosso a Netanyahu alle prossime elezioni di gennaio? O ancora per mostrare i muscoli a Teheran e fargli vedere di cosa sarebbe capace Eretz Yisrael in caso di attacco?  In questa terra di difficile ricomposizione siamo ormai abituati a considerare plausibile qualsiasi cosa, sebbene i falchi del Likud, del Mossad e di coloro che li sostengono apertamente farebbero bene a non sottovalutare la portata di certi tatticismi.
Di acqua sotto i ponti dal Medio Oriente di Piombo Fuso a quello di Colonna di Nuvole ne è passata tanta e si è portata via pure i tiranni accondiscendenti di un tempo. Morsi non sarà minaccioso come un Nasser, ma il suo Egitto non promette nemmeno di essere apatico come quello di Mubarak. E a dar man forte al nuovo presidente egiziano c'è anche il protagonismo di una Turchia che per Israele è passata nel giro di pochi anni da approdo sicuro ad uno dei suoi critici più feroci. La cosa peggiore che Israele potrebbe fare per stabilizzare la propria posizione nell'area è approfittare della debolezza dei suoi attuali nemici (Siria e Iran) per agire di petto creandosi nuovi rivali più potenti. Qualcuno potrebbe anche essere avvantaggiato da questo spostamento di equilibri, ma difficilmente lo saranno i palestinesi che probabilmente continueranno ad essere la moneta di scambio della perversa partita che gli altri giocano al posto loro da più di sessant'anni...


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